Silvia Montefoschi: un ricordo personale lungo il tempo (1977-2011)

Baldo Lami e Silvia Montefoschi (1926-2011) Antologia del Tempo che Resta

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silvia montefoschi ha lasciato il suo corpo stamattina alle 11.45 in piena consapevolezza e gioia lasciando una testimonianza vivente e imperitura

‎”cosa vuole dire che è ciò che è? Vuole dire che ciò che è è l’esserci della presenza al cospetto d’altra presenza qual è infinito della vita” in L’ultimo tratto di percorso del pensiero uno, Zephyro edizioni 2006

da: Baldo Lami e Silvia Montefoschi (1926-2011) | Antologia del Tempo che Resta.

Silvia Montefoschi su Associazione Gea

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http://www.geagea.com/Monografie/Fil-02/Mostra_Fil.htm

Il primo passo del percorso di Silvia Montefoschi

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riportato da:

In Silvia Montefoschi, Bianca Pietrini, Fabrizio Raggi, Il manifestarsi dell’essere in Silvia Montefoschi, Zephyro Edizioni, 2009, p. 17-27



L’intero discorso che il pensiero ha fatto di sé in Silvia Montefoschi narrando la storia della propria evo­luzione che ha dato luogo all’evoluzione dell’universo, ebbe inizio quando Silvia Montefoschi, impegnata già da tempo nella ricerca della verità mediante il metodo psicoanalitico che è appunto quello della perenne rifles­sione del pensiero su se stesso, fu incalzata a ripiegarsi riflessivamente sul suo stesso operato per scoprire alla radice la dinamica che si svolgeva tra l’uno e l’altro del rapporto psicoanalitico. E fu lì che si fecero già eviden­ti i fondamenti della dinamica conoscitiva in cui consi­ste l’esserci di tutto ciò che è:

– la relazione duale all’interno della quale solamente il soggetto sa di sé come tale;

– l’articolarsi di questa relazione nella distinzione tra il soggetto e l’oggetto, tra loro in reciproca dipen­denza;

– la tensione verso il superamento di questa interdi­pendenzanell’intersoggettività, nella quale il sog­getto riconosce se stesso nell’altro soggetto con il quale realizza, consapevolmente, quell’unità duale che si dava sin dall’inizio dei tempi inconsapevole di sé;

– il fulcro della dinamica evolutiva dell’essere: il tabù dell’incesto e la sua infrazione;

– e infine il concetto di soggetto riflessivo, che Silvia Montefoschi introduce per la prima volta nella teo­ria psicoanalitica come altro dal concetto dell’io, e che è l’unica chiave di lettura di tutti i processi psi­chici siano essi sani o patologici; soggetto riflessivo che è la costante presenza del soggetto umano a se stesso e il punto di riferimento di tutti gli eventi del­l’esistenza del soggetto umano stesso grazie al quale quest’ultimo riconosce la propria identità storica. Fondamenti questi che, nel farsi immediatamente evidenti nel dialogo tra l’uno e l’altro del rapporto psi­coanalitico, fanno di quest’ultimo non soltanto l’ambito ma l’essenza stessa della dinamica evolutiva del pensie­ro, che è quella del ripetuto salto evolutivo del pensiero su se stesso; dinamica che si era già fatta consapevole di sé, nel momento in cui il pensiero raggiunse il livello di riflessione del soggetto umano.

[..]

Dalle riflessioni di Silvia Montefoschi emerge allo­ra che l’oggetto sul quale l’analista opera e il parame­tro da lui utilizzato nel rapporto analitico mutano radi­calmente. L’oggetto infatti non è più il relazionarsi del paziente all’analista, bensì il modello di rapporto nel quale entrambi sono calati; il parametro non è più il modo dell’analista di relazionarsi al paziente, bensì un nuovo modello di rapporto che già è presente, come necessità, all’interno della dialettica dello stesso rap­porto analitico.

Il modello di rapporto, nel quale paziente e analista si trovano calati, è quello dell’interdipendenza ove il paziente si fa oggetto conosciuto e l’analista si fa sog­getto conoscente, e il nuovo modello di rapporto, che già è presente come necessità all’interno della stessa relazione analitica, è quellodell’intersoggettività dove paziente ed analista si sperimentano entrambi come soggetti che riflettono insieme sulla dinamica della loro relazione la quale si svela, sempre ad entrambi, come una problematica relazionale universalmente umana al di là delle possibili variazioni che si danno nelle singo­le storie personali. Problematica che è quella della inter­ferenza tra i due modelli di rapporto.

[…]

È a partire da questa visione che Silvia Montefoschi fonda il suo metodo di operare, assumendo l’altro della relazione psicoanalitica soltanto come soggetto che si rapporta a lei come altrettanto soggetto.

E così facendo Silvia Montefoschi introduce, per la prima volta nell’ambito della teoria psicoanalitica, il concetto operativo di soggetto, come altro dall’io, quale punto di vista trascendente l’io.

Punto di vista dal quale poter analizzare i contenu­ti conoscitivi dell’io nei quali il soggetto umano ripone la propria identità restando perciò vincolato a cono­scenze già date e arrestando così il divenire della cono­scenza.



Anno: 2009
Pagine: 478
ISBN: 9788883890505
Prezzo di copertina: € 35,00



Disponibile


E’ possibile ordinare



IL MANIFESTARSI DELL’ESSERE IN SILVIA MONTEFOSCHI



Autore: Silvia Montefoschi

Editore: Zephyro Edizioni

Descrizione:



“In questo libro Bianca Pietrini e Fabrizio Raggi ripercorrono con me il cammino che il pensiero ha fatto, mettendo in luce la consequenzialità dei passaggi logici dall’inizio alla fine dell’opera che ha intenzionato la mia vita. È infatti alla luce del punto di arrivo che si illumina la linearità della strada lungo la quale si è svolto un intero discorso. Questo libro pertanto non è la rilettura di quelli che sono stati scritti attraverso di me, bensì un’opera nuova e unica, quale visione che il pensiero uno stesso ha avuto della sua intera storia.” (Silvia Montefoschi)

INDICE

Prologo

PARTE PRIMA – IL PERCORSO

L’uno e l’altro: interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico

Oltre il confine della persona

Dialettica dell’inconscio

Al di la del tabù dell’incesto

Il sistema uomo catastrofe e rinnovamento

Essere nell’essere

La coscienza dell’uomo e il destino dell’universo

Il principio cosmico o del tabù dell’incesto

PARTE SECONDA – L’ARRIVO

Epilogo

Testimonianza

Bibliografia

Pensiero Uno

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Silvia Montefoschi, il pensiero oltre la psicanalisi

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Antologia del tempo che resta: SILVIA MONTEFOSCHI, La rivendicazione dello specifico e l’intersoggettività

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James Hillman nel sito di Silvia Ronchey

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Silvia Ronchey, Incontro con James Hillman

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“In quel giardino io ero nella Psiche, mi accorgevo che tutto era psicologia intorno a me, tutto parlava psicologicamente. Il mondo è come un giardino in quanto si manifesta; è un mondo di cose come alberi, sentieri, ponti; è anche un mondo di intuizioni, di metafore, di insegnamenti – a disposizione di ogni anima che passa – dati con la facilità dei riflessi sul lago: il giardino rende più intellegibile e più bella l’interiorità dell’anima.” 
(James Hillman)

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Cosa hanno da dire all’uomo di oggi i greci? Risponde James Hillman

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Mi chiedevo e chiedevo

Cosa hanno da dire all’uomo di oggi i greci?

Risponde Hillman:

  • La Grecia ci offre una possibilità per correggere le nostre anime e tutelare la nostra sanità mentale
  • Il mondo greco, con la sua lingua ed i suoi racconti, ci aiuta a elaborare una psiche differenziata. La nostra cultura ha bisogno di una psiche differenziata
  • Una delle grandi virtù del pensiero gre­co è la sua attitudine a distinguere le differenze. E una virtù molto importante: non dovremmo perderla. Perché allora co­gliamo l’unicità e singolarità di ciascuna co­sa.Per pensare accuratamente abbiamo bisogno delle distinzioni, e il mo­dello greco del paganesimo è ricco di distin­zioni
  • Il pensiero greco è ‘pagano’ (in latino “rustico”, “contadino”), come lo chia­mavano i cristiani. E’ legato alle pietre e alle rocce e ai campi e alla gente comune. Non è una teologia spirituale. Non è un programma, è una vita, proprio come lo è anche la psicologia e gli dei che vi abitano.

——————————

La Grecia psichica di cui lei parla nel Saggio su Pan, quando scrive: «La Grecia ci offre una possibilità per correggere le nostre anime e c’è una Bibbia nella camera da letto di ogni giovane nomade, dove molto meglio figurerebbe l’Odissea» (Saggio su Pan, pp. 13-15)

Non voglio idealizzare i Greci, tutti sappiamo che non erano gran che corretti con le don­ne, che avevano schiavi, facevano guerre, che i vecchi avevano amanti ragazzini: sappiamo tutto questo. Ma facevano anche qualcos’altro oltre a questo, che era pensare in modo di­verso da come pensiamo noi oggi. E possia­mo tornare a quel modo di pensare tutte le volte che abbandoniamo le nostre recenti idee occidentali, idee folli, che ci fanno di­ventare folli. Come: «Questo è solo il mon­do secolare» e quindi «non ha importanza» e «le vere bellezze sono in un altro Mondo».

Lei essenzialmente chiama folli le idee di trascendenza, come quelle cristiane.

Oppure quelle di Cartesio, quando dice «la materia è inerte, è morta, e c’è un’anima soltanto nell’essere umano, ragione per cui le case, gli alberi, gli animali sono tutti morti». Siamo solo materiale genetico ori­ginato da un’esplosione e diretto verso un buco nero. Ebbene, questa cosmologia è folle, eppure domina il modo di pensare dell’Occidente. Perciò il ritorno alla Gre­cia è solo questione di tornare alla sanità mentale, non è niente di strano.

E il politeismo greco, come lei ha scritto, «è la più riccamente elaborata di tutte le culture». Però non pensa che ciò valga ancora di più per lo scintoismo, una religione che, come ha detto Lévi-Strauss, «non traccia linee di demarcazione tra il vegetale e l’animale, né tra l’uomo e l’animale, e per la quale la forma floreale è forse il limite della perfezione» ?

E un’idea deliziosa, ma io non sono giappo­nese! Devo restare nell’ambito della tradizio­ne che mi è propria, del linguaggio occiden­tale che mi è proprio, all’interno della mia propria cultura occidentale. Il mondo greco, con la sua lingua e le sue narrazioni mitiche, era enormemente differenziato. Non impli­ca la perdita di distinzioni tra uomo e ani­male o tra animale e pietra. Non si tratta di panteismo. E molto distinto, articolato, visi­vamente e linguisticamente dettagliato, il che porta verso una psiche differenziata. I Greci avevano una psiche differenziata ed è di que­sta che abbiamo bisogno nella nostra cultura.

Che cosa s’intende per psiche differenziata, posto che ogni grande sistema occidentale, da Aristotele a Hegel, ha una sua psicologia ?

Che non dobbiamo perdere di vista le di­stinzioni tra uomo e animale, o tra animali e fiori, tra minerali e batteri e così via. Dob­biamo invece individuare chiaramente le di­stinzioni. In altre parole, dobbiamo tra­sporre nel mondo mitologico, ovvero in quello psicologico, la nostra ottica scienti­sta. Una delle grandi virtù del pensiero gre­co, così come del nostro pensiero scientifico occidentale, è la sua attitudine a distinguere le differenze. E una virtù molto importante: non dovremmo perderla. Perché allora co­gliamo l’unicità e singolarità di ciascuna co­sa. Non si tratta di far saltare i confini del­l’io in un’unità mistica e emozionale.

Come invece nelle esperienze dello sciamanesimo tribale, il cui riflesso è comunque arrivato anche ai Greci. Ma lei considera queste esperienze totali proprie solo dell’Oriente asiatico. Il misticismo orientale non la attrae affatto ?

Per me, la cosa più bella dello scintoismo è quel delizioso animismo che dà anima a ogni cosa, è splendido! C’è qualcosa come di infantile in questo, in Giappone, che mi piace molto. Ma per pensare accuratamente abbiamo bisogno delle distinzioni, e il mo­dello greco del paganesimo è ricco di distin­zioni. E come il sapore dell’acqua: diverso in ogni villaggio. E un principio molto im­portante, specialmente nel Mediterraneo. In ciascun villaggio della Spagna il prosciut­to è diverso e si può distinguere il prosciutto di un villaggio da quello di un altro. Lo sa? Il sapore delle olive di un paese della Sicilia è diverso da quello delle olive di qualsiasi al­tro. E questo culto della diversità è parte della nostra eredità occidentale, ed è anche una componente della nostra natura anima­le. Gli animali sanno distinguere una cosa da un’altra e da un’altra ancora: se sono or­si, ad esempio, sanno dove andare a cercare i frutti di bosco più dolci, sanno quali pesci sono migliori di altri. Ora, questa attitudi­ne del singolo si è persa nelle grandi teolo­gie religiose unificate, come il buddismo, il cristianesimo e l’induismo. Gli ‘ismi’ ci fanno perdere le bellezze della particolarità. Dichiarano perfino che le distinzioni sono una trappola mentale, un inganno.

Dunque noi occidentali non possiamo che pensare in termini occidentali. Ma, come dicevamo, quello che stiamo assorben­do e omologando quale pensiero asiatico, per esempio ciò che chiamiamo buddismo, forse non è altro che una rielaborazio­ne più o meno consapevole dell’antico pensiero greco.

Direi proprio di sì. Credo che la difficoltà qui stia nel fatto che in qualità di psicologo ho il compito di divenire consapevole di ciò che noi apportiamo al buddismo (e non di ciò che il buddismo porta a noi), o di ciò che noi apportiamo all’Islam, delle strutture già presenti nella nostra mente. Perciò, quando assumo il buddismo in me, lo sto modificando con il mio inconscio e lo sto usando per il mio inconscio. Un inconscio occidentale si impadronisce del buddismo e lo trasforma in chiave cristiana o ebraica. Non siamo bhutanesi, non siamo tibetani, abbiamo una struttura mentale completa­mente diversa. Qui nella mia psiche c’è Cartesio, e ci sono Platone e san Tommaso — tutti vivi, e tutti stanno collaborando a ciò che avviene. E c’è anche Einstein, qui. Perciò, non posso semplicemente leggere un testo buddista e meditare, starmene se­duto a fare il mio esercizio zen, perché i Padroni della Mente Occidentale vivono in me e stanno facendo un’ininterrotta conver­sazione * E non dimentichiamo sant’Agosti­no o Newton! Non siamo liberi dalle nostre tradizioni.

Insomma le dà fastidio questa moda occidentale sincretistica di un buddismo riveduto e corretto ?

Ribadisco, non è il buddismo che mi fa ar­rabbiare, ma il modo in cui la nostra psiche usa il buddismo, per sfuggire al dovere di apprendere la nostra tradizione e il potere della nostra tradizione, al dovere di rendersi conto che Cartesio è responsabile di buona parte del caos della nostra società occidenta­le, e non solo Cartesio, ma già san Paolo e la filosofia medievale e il cristianesimo, quan­do ha dichiarato «il mondo appartiene a Cesare». Certo che poi abbiamo i disastri ecologici! perché non importa cosa succede in questo mondo! Possiamo avere perdite di petrolio in mare, possiamo bruciare le fore­ste, perché tanto è solo materia. Res extensa. Spazzatura. Pattume.

Un’altra difficoltà nella nostra discussione è data dal fatto che stiamo sovrapponendo spirito e anima, stiamo trascurando la di­stinzione tra anima da un lato e spirito dall’al­tro. II mondo greco era un Mondo del­l’Anima, nel senso che la sua attenzione per l’anima, nel modo che ho io di intenderla, serviva, come abbiamo detto, a fornire una differenziazione di tutte le ricchezze e gli orrori della vita reale — che è, appunto, il fare anima in questo mondo. Lo spirito in­vece, che è ordine, numero, conoscenza, stabilità e logica autodifensiva, parla il lin­guaggio della ‘verità’, della ‘fede’, della ‘legge’ e simili. Quando parliamo del bud­dismo o della cristianità, o del cristianesi­mo (usiamo pure questo -esimo, che corri­sponde agli altri -ismi: cristianesimo come buddismo, ebraismo, scintoismo), stiamo par­lando in termini molto generali dello spi­rito e i concetti sono largamente intercam­biabili — uno spirito o un altro spirito, una religione o un’altra religione — e conti­nuiamo a discutere di religioni. Il pensiero greco è diverso; è ‘pagano’, come lo chia­mavano i cristiani. E’ legato alle pietre e

alle rocce e ai campi e alla gente comune. Non è una teologia spirituale. Non è un programma, è una vita, proprio come lo è anche la psicologia — e gli dèi vi abitano.

In che modo vi abitano, visto che manca, come lei dice, una teologia spirituale ?

Quando il gufo grida, è Atena che parla at­traverso il gufo. E questa sensazione, che ovunque tu sia c’è qualcosa che può parlar­ti, è anche egizia. Alla visione greca sono affini quella egizia e anche quella tribale africana, molto più di quanto possano es­serlo la visione buddista o cristiana. Gli Africani, gli Egizi e i Greci sono affini nel percepire il mondo pratico quotidiano, i frutti e i fiori e le pietre e le rocce e le que­stioni della vita — affini nel fare anima.

In James Hillman, L’anima del mondo, conversazione con Silvia Ronchey, Rizzoli, 1999, p. 57-66

Silvia Montefoschi

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Pubblicato con Flock

“ciò che è è l’esserci della presenza al cospetto d’altra presenza quale è infinito della vita”

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da: Silvia Montefoschi, L’ULTIMO TRATTO DI PERCORSO DEL PENSIERO UNO. Escursione nella filosofia del XX secolo, Zephyro editore, Milano

Tappe di avvicinamento alla “teoria del vivente” di Silvia Montefoschi

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Racconto i miei passaggi, a tutt’oggi, dentro la “teoria del vivente” di Silvia Montefoschi.

Primo passaggio è stato l’avere compreso ed introiettato il suo principio di intersoggettività.

La vera operazione di allargamento della sfera della mia coscienza avveniva attraverso l’argomentazione sul “fenomeno intersoggettivo (che lei narrava non in astratto, bensì, facendola emergere dalla sua esperienza di psicoanalista) che ho raccontato in questo audio-video:

http://amalteo.splinder.com/post/18849746/Paolo+Conte+in+Bella+di+giorno

Il secondo passaggio è contenuto nella frase

“Cosa vuole dire che è ciò che è?”



(fra l’altro curiosamente ripetuta in libri di Peter Handke e film di Wim Wenders)



A me arriva da un ricordo/sogno//reverie. neppure io so cosa sia: risale alle origini mia infanzia più lontana. Forse tre anni, dunque 1951.


Sono nella stanza da letto dei miei genitori (era una casa che dava sul lago, per l’esattezza Torno. Oggi faccio vivere la mia psiche lì vicino: tre paesi dopo)

Guardo fuori dalla finestra, vedo un ‘isola (che in realtà non c’è). Su quell’isola c’è Garibaldi (è evidente la fusione di immagini succcessive)

E’ tutto.

Eppure in questa immagine è racchiuso un primo nucleo della mia salvezza intersoggettiva.

Sono certo che , assieme al mio cane pastore tedesco Pantò, mi sono “salvato” dall’abisso mortale perchè in me agiva una forza altra, istintuale e razionale al tempo, che mi poneva alla ricerca di un oggetto comune esterno alla relazione diadica primaria.

Il terzo passaggio è di questi giorni.

B. mi ha risolto una questione che vedevo appena. Ero piuttosto preoccupato dal tono settario dei seguaci di Silvia Montefoschi, che ne hanno fatto una specie di idolatria linguistica e gregaria.

Mi chiedevo: ma come può un pensiero così nitido, così prospettico, così capace di mettere assieme l’Uno, l’Altro e l’Infinito generare dei cloni così imitativi e ripetitivi?

E poi mi chiedevo perchè Silvia è così severa nel suo libro Il Pensiero Uno (eccezionale, una possente camminata nel pensiero del novecento) a mettere la croce NO, come una maestrina da liceo, a pensatori così basici. In questo libro riassume un pensiero e poi dice che NON E’ qualcosa, NON E’ il pensiero Uno.

Come mai sono così attratto da questo testo, pur vedendo un limite valutativo nello stesso fluire maestoso di pensiero di silvia montefoschi?

Tale questione me l’ha chiarita in modo per me soddisfacente B. quando scrive (cito a memoria) che Silvia Montefoschi è diventata pensiero allo stato puro (aggiungerei con le mie parole che è diventata come un diamante) e che i suoi allievi che la inseguono sul SUO terreno, senza collocare la loro personale posizione in nuovi quadri, ne danneggiano la stessa prospettiva. Mentre la questione è METTERE IN CONNESSIONE prospettive differenti, per lui Hillman e Montefoschi, pur nella polarità delle due posizioni.

Fine di questa mie quasi seduta di autoanalisi

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Pensieri associati

Dice G.:

Non so che dire dell’esperienza diretta di chi ha conosciuto Silvia Montefoschi. Dei tanti grandi che pure sono stati nostri Maestri – come piace dire a me – non resta spesso la lezione accademica né conta ogni piega della vita.

Ad esempio, non mi faccio turbare dal fatto che Martin Heidegger aderì al Nazismo. Giudico la sua opera. E non tutta la … Visualizza altrosua opera.

Allo stesso modo, credo che Montefoschi debba essere giudicata per quello che lascia in eredità. Al di là di quanto possa esserci di caduco nella vita e perfino nell’opera.

Non sono credente, eppure leggo il Vangelo. Di tutte le filosofie che ho ‘attraversato’ quello che ho preso per me e che guida la mia vita è spesso solo una parte di esse e sempre non la più importante. Ad esempio, ho proposto di Massimo Cacciari “Filosofia e tragedia” per l’Antologia del tempo che resta, per il fatto che in quella conferenza è condensata tanta parte del mio modo di sentire.


Ho compreso fin qui che c’è in quest’ultima opera un’affinità sotterranea con il mio percorso di vita, per quanto riguarda il ‘superamento’ di ogni dualismo nella vita del pensiero.

Ma per me è solo un inizio. Anche se non è poco. Mi viene in mente l’errore di Cartesio (in Damasio e poi in Galimberti)

dice B.:

menti diverse vibrano all’UNI-SONO… mi piace, un grazie di cuore a g. per questa iniziativa e per la descrizione di una modalità di procedere che sento per certi versi simile a quella mia, a paolo per il fuoco della mente che sento divampare in lui quando parla delle cose in cui crede e che riconosco molto simile a quello di silvia oltre che per le tracce biografiche di cui spesso ci fa dono, a f. che si è subito immesso con grande agilità nel flusso di questo discorso, ecco a lui non consiglierei di partire dagli studi clinici, ma dalla teoria del vivente perchè è qui che la montefoschi è maestra, per cui partire da questo libro che è l’ultimo per me può andar bene, oppure da “sistema uomo” seguito da “essere nell’essere” (che è il percorso che ho fatto io, che vale come quello di paolo, ognuno trovi il suo, io all’intersoggettività ci sono arrivato indirettamente attraverso questi libri).

Riguardo l’imbarazzo o lo scandalo degli ex montefoschiani e del mondo accademico, dico solo che un grande è sempre fuori dagli schemi di pensiero comuni e del tempo storico di appartenenza, altrimenti non sarebbe tale, del resto genio e follia sono strettamente associati, non può esistere un genio “nella norma”, per cui a livello del genio, soprattutto se mistico, non dev’essere considerato patologico se giovanni evangelista è l’amante celeste di silvia . Per loro è una dimensione dell’essere altrettando reale di quella che per noi cade sotto i 5 sensi, è questo lo sfondamento del logos e del soggettività che deve essere operato se vogliamo sentirci nel cuore del vivente, altrimenti ne siamo sempre parti staccate, separate, noi alla deriva, non lei. Che poi, vista da un altro punto, è la radicalità che deriva dall’abbracciare interamente il proprio Daimon… comunque paolo ha perfettamente capito la “problematica” di chi si accosta a un pensiero così vertiginoso, e gliene sono grato, bisogna anche avere un minimo di difesa, ma non troppa!…

Dialoghi con il sogno: una serata con Paolo Cozzaglio, Paola Manzoni, Sergio Bettinelli

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Dio, che pioggia!

Da Como oltrepasso Cantù, passando per vie conosciute. Mi perdo una volta, poi trovo la strada giusta per Mariano Comense

… Dio, che pioggia …

Gli scrosci delle pozzanghere fanno traballare la precaria Hyunday. Sempre qualcuno dietro con le sue luci, sempre qualcuno di fronte con le sue luci. Non sono tranquillo: sono un viaggiatore da treni

Oltrepasso lo svincolo, faccio la discesa, vedo un cartello “Centro”, ma il centro svanisce. Mi sono perso per la seconda volta. Vedo una persona: “si va di là, poi gira a sinistra e torna indietro: il paese è così”.

Mi perdo per la terza volta. Decido di tornare a Como. Ma riprovo: una ragazza sotto la tenda del bar mi dice: lì a destra. Insomma: sono arrivato.



La questione è che occorre re-imparare a raccontare i sogni, come si è già fatto alle origini delle civiltà umane.

Ma prima ancora occorre imparare a riconoscerne il valore.

Dunque: è ancora una volta questione di apprendimento ed intenzione

E’ questo il cuore del libro:

a cura di Paolo Cozzaglio, DIALOGHI CON IL SOGNO: incontri diurni e notturni con l’inconscioZephyro Edizioni, Collana ANIMA & SPIRITO a cura di Baldo Lami

Tre fra gli autori (Cozzaglio stesso, Paola Manzoni e Sergio Bettinelli) argomentano sul tema in un incontro pubblico alla sala civica di Mariano C. , la sera del 2 aprile 2009.

Ben 50 persone in sala, di cui 10 uomini. E’ è sempre così, un po’ per la mortalità più precoce, un po’ perché sono le donne quelle che più tendono alla creatività. Vista la pioggia a dirotto e lo stato della cartellonistica è un successo.

Ma c’è un perché.

Molti dei presenti hanno già fatto un corso sui sogni con il dott Foieni (non so se ho sentito bene il nome) all’interno delle iniziative per la vecchiaia attiva della Unitre – Università della terza età.

Lui è accogliente e bravo. Dice che il corso era centrato sulla storia dei sogni, i loro tipi, e sulla lettura in gruppo. Sembra proprio che gli incontri siano andati bene.



Ecco gli ingredienti alchemici di un incontro serale riuscito: un tema che ci tocca personalmente, un po’ di preparazione personale, un docente che sa fare il suo mestiere, tre esperti senza spocchia professorale.



Ma alle spalle e sotto la superficie c’è ancora qualcosa: un editore di nicchia qualitativa e il fantasma di una vivente.

L’editore Zephyro e l’animatore della collana Baldo Lami, che hanno pubblicato il libro su come apprendere a dialogare con il sogno (grande opera a mio modesto giudizio) e Silvia Montefoschi.

Beh sì: Silvia era lì. In quella sala vedevo concretamente il suo grande progetto filosofico e psicologico: il lavoro sulla propria singola e personalissima psiche è un lavoro sociale. Nella psiche individuale si rispecchia e rifrange la psiche universale. E la psicoanalisi è lo strumento relazionale che rivela questa connessione, perché è:

il culmine del momento conoscitivo umano del reale,

che rivela l’essere così com’è,

nell’atto di interrogarsi su se stesso

citato in Cozzaglio, op.cit. p. 18

Vengo agli appunti della conversazione della sera.

Paolo Cozzaglio, in una sintesi davvero magistrale, sviluppa il suo ragionamento attorno a 5 punti:



  • La modernità ed il positivismo hanno fatto perdere il significato che le persone hanno sempre dato al sogno. Le neuroscienze, tanto in auge oggi, vanno sempre di più in questa direzione. Perdiamo così qualcosa di noi.
  • Freud produce una prima rivoluzione affermando che: i sogni hanno un significato; parlano al singolo sognatore; dicono qualcosa d’altro alla persona, gli suggeriscono altri aspetti di sé. Tuttavia per Freud il sogno è un occultamento, piuttosto che uno svelamento: si presentano camuffati, per evitare i conflitti con le grandi forze che presiedono la psiche umana (eros e thanatos, amore e aggressività, pulsione di vita e pulsione di morte). “per Freud il linguaggio onirico è l’attuazione mascherata di un desiderio proibito” (op. cit. p. 28)
  • Jung va oltre ed imbocca un’altra strada. Il sogno non è solo una espressione della propria psiche individuale. Il sogno, attraverso i simboli, cimette a contatto con il patrimonio di tutti gli esseri umani, così come fa l’arte. Dunque il sogno non occulta, bensì svela: dice cose nuove sull’individuo ma anche sulla umanità tutta
  • Silvia Montefoschi parte da Jung, ma a sua volta va oltre ed imbocca ancora un’altrastrada. Il sogno ha un significato universale, perché i problemi personali rispecchiano la situazione sociale. La singola persona, attraverso il processo che lei chiama “intersoggettività” esprime la condizione umana di fronte alla sua storia. In questa prospettiva Montefoschi definisce il simbolo in due modi “il modo di dire di un indicibile”, e il “modo di dirsi di un indicibile”(op.cit. p. 18). Colloca cioè il lavoro di rapporto con i simboli nel quadro di relazioni intersoggettive significative
  • Isogni non hanno la stessa valenza emotiva. Ed occorre lasciar parlare anche quelli negativi , perché sono interlocutori di noi stessi che danno orizzonti di senso attraverso le immagini



Paola Manzoni ha sviluppato questo ragionamento:

  • Occorre prestare attenzione ad una serie di sogni (perfino quelli di un anno). Attraverso i loro mutamenti noi apprendiamo anche il nostro mutamento. Vedendo come cambiano le nostre immagini interiori prendiamo consapevolezza che noi stessi mutiamo. E questo allarga la superficie della consapevolezza
  • I sogni non aiutano a trovare la felicità, tuttavia aiutano a trovare un senso: il che non è poca cosa
  • Mettiamoci in gioco, come fanno i bambini. Giochiamo con i sogni. Apriamo le orecchie : “ascolta questa voce”
  • Il mondo occidentale tende a separare mente e corpo. Ma noi siamo esseri unitari. Solo partendo dalle nostre ferite (la sofferenza psichica e somatica) possiamo intraprendere le vie della conoscenza

  • In questa chiave anche un incubo ci dice: … ascolta … allarga lo sguardo. Se ci lasciamo andare il sogno diventa un compagno prezioso



Sergio Bettinelli ha sollecitato l’attenzione al tema del transfert. Però lo ha detto con parole semplici ed empatiche:

  • Il sogno è una manifestazione dell’inconscio e quindi aiuta a conoscere i problemi
  • Ma la questione cruciale è : quale è il problema?
  • Quando i due inconsci (quello del paziente e quellodell’analista) cominciano a parlarsi ecco che si istaura una benefica relazione per entrambii soggetti, che si parlano attraverso i sogni. Il sogno, dunque, è l’oggetto comune della relazione intersoggettiva. E’ questa triangolazione a produrre l’energia necessaria a far fronte alle esigenze di trasformazione personale



Le persone del pubblico hanno immediatamente interagito con i relatori, mentre il dott. Foieni era in evidente soddisfazione per il successo formativo del corso e per l’andamento veramente sereno e produttivo della serata.



Riassumo qui ancora qualche punto significativo in termini di apprendimento ed allargamento della coscienza:

  • Meglio scrivere i sogni. Sono materiali preziosi da non perdere. Magari si ricorderà solo qualcosa, ma piano piano si riacquisterà l’abitudine a ricordarli. Si scopriranno cose fantastiche
  • Non esagerare con l’interpretazione. Talvolta l’interpretazione è una gabbia razional razionalistica che ne riduce la forze espressiva.
  • La domanda giusta non è “cosa vuol dire il sogno”? ma “cosa vuoi dire con il sogno”? e questo è possibile farlo solo attraverso rapporti dialogici
  • Il tempo per sè della pre-vecchiaia diventa una opportunità straordinaria per riflettere, per darsi spazio e tempo per fare riemergere queste dimensioni assopite. In proposito mi è venuta una associazione con un altro libro molto arricchente della collana Anima & Spirito: Jane R. Prétat, La terza donna: gli anni d’oro della trasformazione della terza età (Coming to age. The croning Years and Late-Life Transformation, 1994), Zephyro edizioni, 2001. Sostiene questa autrice: “Uno dei cambiamenti più importanti che si verificano nella nostra vita sta cominciando solo da poco a essere oggetto di attenzione. Negli anni compresi fra la mezza età e la vecchiaia, in quel periodo della vita in cui non si è più nel fiore degli anni ma neppure ancora davvero vecchi, la maggior parte di noi subisce un processo di transizione. Corpo ed anima indugiano sulla soglia della vecchiaia. Fra i cinquanta e i settant’anni siamo chiamati ad affrontare una profonda trasformazione. La vita cambia radicalmente e lo stesso succede a noi, al nostro corpo, alla nostra psiche, alla nostra mente e al nostro spirito. Questo, anche se è augurabile, è proprio ciò che ci fa paura” op.cit. p. 13
  • I sogni hanno anche una valenza compensativa: raccontano la parte di te che non volevi riconoscere
  • Cos’è l’inconscio collettivo? Sono le radici salde che vanno oltre noi. Un albero con radici forti regge alle bufere
  • Il Cepei- Centro di psicologia evolutiva intersoggettiva da qualche anno raccoglie in forma anonima i sogni che le persone inviano spontaneamente. Non c’è interpretazione, che richiede un rapporto intersoggettivo. Tuttavia questa raccolta ha già oggi il valore di far intra-vedere quel valore universale dei simboli, di cui parlavano Jung e Montefoschi



Conclusione

In quella sala, in una cittadina della Brianza comasca, dentro una notte buia e piovosa, 50 persone si sono ritrovate, come in un rituale sociale, a recuperare la possibilità di conoscersi meglio (e così di conoscere il mondo esterno).

Lei, Silvia Montefoschi, la pioniera della unità fra persona e società attraverso la mediazione della psiche, era lì a trovare conferma della fecondità della sua teoria del vivente

L’errore di Narciso

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Ci sono tanti modi di raccontare il mito di Narciso e altrettanti di interpretarlo.
Ma ogni volta che leggo queste righe sono ammirato dai diversi piani di comprensione contenuti in queste righe:

L’errore di Narciso, o meglio l’errore di essere in Narciso, sta nel fatto che nel rispecchiarsi, e quindi nel riflettere su di sè. egli coglie la sua immagine entro il limite di un particolare, e crede di cogliere il tutto in quella sua parte

Silvia Montefoschi, in La coscienza dell’uomo e il destino dell’universo, Bertaqni, Verona 1986
che sarà ripubblicato in Silvia Montefoschi, Opere Volume 3, Zephyro edizioni

Silvia Montefoschi: biografia e opere

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Silvia Montefoschi è nata a Roma nel 1926.
Allieva di Ernst Bernhard, è approdata alla psicoanalisi, alla filosofia e poi ancora alla psicoanalisi dopo la laurea in medicina e in biologia.
Tutta la sua Opera Omnia è in via di pubblicazione nelle Zephyro Edizioni di Milano (a cura di Baldo Lami e Maria Luisa Mastrantoni).
Ho schedato così la sua opera:

L’ UNO E L’ALTRO. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico
FELTRINELLI, 1977, p. 368

OLTRE IL CONFINE DELLA PERSONA
FELTRINELLI, 1979, p. 165

DIALETTICA DELL’INCONSCIO
FELTRINELLI, 1980, p. 287

AL DI LA’ DEL TABU’ DELL’INCESTO. Psicoanalisi e conoscenza
FELTRINELLI, 1982, p. 231

PSICOANALISI E DIALETTICA DEL REALE
BERTANI EDITORE, 1984, p. 150

C.G JUNG UN PENSIERO IN DIVENIRE
GARZANTI, 1985, p. 226

IL SISTEMA UOMO. Catastrofe e rinnovamento
RAFFAELLO CORTINA, 1985, p. 234

ESSERE NELL’ESSERE
RAFFAELLO CORTINA, 1986, p. 305

FU UNA PIOGGIA DI STELLE SUL MIO VISO (Napoli 1952)
LABORATORIO RICERCHE EVOLUTIVE di Giampietro Gnesotto editore, 1989, p. 70

LA DIALETTICA DELL’INCONSCIO (1980), in Opere Volume Secondo – Tomo 1
ZEPHYRO EDIZIONI, 2001, p. 209-437

L’ UNO E L’ALTRO: L’INTERDIPENDENZA E L’INTERSOGGETTIVITA’ (1977), in Opere Volume Secondo – Tomo 1, ZEPHYRO EDIZIONI, 2001, p. 57-192

IL FONDAMENTO METODOLOGICO DEL PENSIERO DI JUNG (1985), in Opere Volume Primo
ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 481-566

IL SENSO DELLA PSICANALISI. Da Freud a Jung e oltre (Opere Volume Primo)
ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 618

OLTRE I CONFINI DELLA PERSONA (1979), in Opere Volume Primo
ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 295-409

IL DIVENIRE DEL PENSIERO DI JUNG (1985), in Opere Volume Primo
ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 567-608

L’ UNO E L’ALTRO: PROPOSTA PER UNA FENOMENOLOGIA DEL SOGGETTO (1977), in Opere Volume Primo, ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 95-264

OLTRE L’OMEGA. Tavole dei modelli raffiguranti il processo
ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 114 + Tavole

L’ EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA. Dal sistema uomo al sistema cosmico (Opere-Volume Secondo – Tomo 2), ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 618

L’ EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA. Dal sistema uomo al sistema cosmico (Opere-Volume Secondo – Tomo 1), ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 618

L’ ULTIMO TRATTO DI PERCORSO DEL PENSIERO UNO. Escursione nella filosofia del XX secolo
ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 319

SOLIME’ LORENZO, prefazione di Silvia Montefoschi
L’ ECO DELLA VOCE DEL PENSIERO ovvero il dirsi dell’Essere nel dire dell’Uomo
ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 256

LUDWIG WITTGENSTEIN E LA RIVOLUZIONE EPISTEMOLOGICA (1983), in Opere Volume Secondo – Tomo 2, ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 15-28

LUDWIG WITTGENSTEIN: IL LINGUAGGIO COME FONDAMENTO DEL SOCIALE (1983), in Opere Volume Secondo – Tomo 2, ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 29-38

LA VITA E’ CONOSCENZA. FUNZIONE ETICA E STRUTTURANTE DEL CULTURALE NEL PROCESSO
TRASFORMATIVO DELLA PERSONA (1984), in Opere Volume Secondo – Tomo 2
ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 39-60

IL PRIMO DIRSI DELL’ESSERE NELLA PAROLA. I MITI COSMO-ANTROPOGONICI. LE DIVERSE VISIONI DELLA COSCIENZA ANTINOMICA (1984), in Opere Volume Secondo – Tomo 2
ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 61-94

LA FELICITA’ COME RAPPORTO CON L’UNIVERSALE (1984), in Opere Volume Secondo – Tomo 2
ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 95-106

IL SISTEMA UOMO. CATASTROFE E RINNOVAMENTO (1985), in Opere Volume Secondo – Tomo 2
ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 107-268

L’ ANIMA E OMBRA (1986), in Opere Volume Secondo – Tomo 2
ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 269-286

ESSERE NELL’ESSERE (1986), in Opere Volume Secondo – Tomo 2
ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 287-502

—————————————————————————-
Questo Blog contiene una bibliografia aggiornata degli scritti di Sivia Montefoschi e dei saggi a lei dedicati:
http://laboratorioricercheevolutive.wordpress.com/2008/04/26/silvia-montefoschi-documenti-in-rete/

Silvia Montefoschi: biografia e opere

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Silvia Montefoschi (documenti in rete) « Laboratorio Ricerche Evolutive

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Claudio Risè, Servirsi del clima per stare meglio

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Diario di bordo :: Servirsi del clima per stare meglio :: January :: 2009

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AIPA Milano – Origini

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Il bacio di dio, di Silvia Montefoschi

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Il bacio di Dio

Silvia Montefoschi

In Il bacio di dio, Goldenpress, 2000

Tu e io
Io e tu

Era buio
Un buio nero
ricordi?

Tu e io
io e tu
non sapendo però
nè tu di me
nè io di te
vagavamo
uniche due particelle
in uno spazio infinito
senza alcun punto
di riferimento
che ci desse
un orientamento

Eppure qualcosa
ci sospingeva
in un’unica direzione
Qualcosa che
si dava in noi
come una sensazione
sensazione che
tu e io
io e tu
chiamammo emozione

E lungo quella direzione
noi ci muovevamo
l’un verso l’altro
senza sapere
l’uno dell’altro
guidati soltanto
dalla nostra emozione

Lontano lontano
ciascuno di noi
vide un chiarore
chiarore che
tu e io
io e tu
chiamammo albore
l’albore
della prima aurora

E in quell’albore aurorale
ciascuno di noi vide
sorger dal nulla
un punto di luce
ma di una luce
così bella che
tu e io
io e tu
chiamammo stella

E la stella
veniva incontro
a ciascuno di noi
mentre noi
ci venivamo incontro

Quando fummo
a breve distanza
l’un dall’altro
ci fermammo
reciprocamente abbagliati
dal nostro splendore
splendore in cui
tu sapesti di me
e io seppi di te
e che
tu e io
io e tu
chiamammo amore

E l’amore
che noi stessi eravamo
baciò se stesso
nel nostro baciarci
e nell’istante
in cui ci baciammo
la luce divampò
illuminando lo spazio
lo spazio che
attorno a noi si curvò
formando ciò che
tu e io
io e tu
chiamammo universo
l’universo
al centro del quale
noi ci venimmo a trovare

Poi qualcosa
che noi sentimmo
provenir da noi stessi
ma che a noi si impose
come altro da noi
ci separò

Ci separò
e rimase tra noi
come l’impronta
del nostro bacio
un bacio che
tu e io
io e tu
chiamammo vita

E dalla vita
noi stupiti vedemmo
sgorgare a miriadi
coppie di particelle
che velocemente
andarono a popolare
il vuoto dell’universo
che si riempì
di fulgide stelle

Poi
io da qui
non ricordo più
dimmi
ricordi tu?


io ricordo che
da lì
venni poi a trovarmi
non so come e perchè
ai margini dell’universo

Ero solo solo
anche se
sentivo te in me
e ti vedevo inoltre
al centro
di quello spazio chiuso
che di nuovo
s’era fatto buio

Io ti chiamai
l’anima del mondo
che era poi
l’anima mia
che mi teneva in vita

E’ ciò che io ricordo
e tu
che cosa ricordi tu?

Io ricordo
d’essermi trovata lì
dove tu dici
al centro
di uno spazio nebuloso
come una presenza
che si rivolgeva
ad un’altra presenza
lontana
e vicina a un tempo
e che io
chiamai dio
come colui
dal quale solamente
derivava
il mio sentirmi presente

Se però
la mia presenza
e la tua presenza
avessero una forma
non ricordo più
cosa ricordi tu?

Io ricordo che
ogni volta
che giungeva il momento
di un nostro
nuovo appuntamento
noi ci incontravamo
in una veste
sempre più ricca
sempre più armonica
sempre più bella
e che
dal bacio
che noi ci davamo
nascevano forme
sempre più ricche
sempre più armoniche
sempre più belle
proprio così
come noi eravamo
nel momento
in cu ci baciavamo

Forme alle quali
tu e io
io e tu
davamo
di volta in volta
il nome dei viventi
che
nell’universo
si facevano presenti

Ma il ricordo
che ancora mi tocca
fortemente il cuore
è quello
del grande giorno
in cui
l’universo prese luce
dalla luce
di una stella
che brillava
al centro
dell’universo stesso
dove eri tu
come se proprio tu
avessi ritrovato
il tuo primo splendore
che ora dissolveva
la tenebra che t’avvolgeva

E io compresi allora
che era giunto
il momento in cui
tu e io
io e tu
dovevamo
tornare a congiungerci
ma
con il bacio
della nuova aurora

E
con quel bacio è avvenuto
che il mondo
s’è rovesciato

E io
mi son trovato
al centro dell’universo
insieme a te

E tu
ti sei trovata
alla periferia dell’universo
insieme a me

E questo evento
ha fatto sì
che io
sono diventato un uomo
avente però in sè
l’enormità dell’immenso
che va ben oltre il limite
dell’intero universo
e che tu
sei diventata una donna
che umilmente
custodiva in sè
la luce
di quella prima stella
che
illuminava la mia vita

Cosa ancora ricordi
tu
anima mia?

Io ricordo
dio mio
che
quando noi ci baciammo
nelle vesti imane
il nostro bacio
partorì
una nuova progenie che
tu e io
io e tu
chiamammo divina

Progenie nella quale
l’amore diviene
una sola persona
quando
ognuno dei due amanti
ama se stesso
amando l’altro soltanto

E noi
continuiamo a baciarci
così che
dai nostri baci
nascono ancora
nuove coppie di amanti
che imparano a baciarsi
proprio come
noi ci baciamo
nell’amore immenso
che va oltre i limiti
dell’intero universo
là dove
tu e io
io e tu
finalmente ci siamo
uniti nel bacio
che non finisce mai più

Paolo Conte in Bella di giorno (da Psiche) e l’intersoggettività in Silvia Montefoschi

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1. Il testo letto nel video è questo:



“Se cerco di cogliere sul piano esperienziale il fenomeno intersoggettivo che io assumo come parametro, strumento e finalità del mio interagire col paziente, devo dire che esso si rivela a me come la feli­ce condizione dell’esistere con l’altro senza bisogni.

Se però analizzo questa condizione mi accorgo che essa si fonda sul soddisfacimento di due bisogni che le sono essenziali; quello che l’altro ci sia, in quanto è grazie all’esserci dell’altro che io mi mani­festo come esistente e mi riconosco, e quello che io ci sia in libertà, poiché mi riconosco solo se sono libera di dirmi e di darmi così come, di volta in volta, l’esistere dell’altro mi rivela a me stessa.

In questa felice condizione, quindi, non percepisco altri bisogni se non quelli della presenza dell’altro e della mia libertà. Non sono forse questi i requisiti dell’esistere dell’uomo come soggetto?



Devo procedere nell’analisi di queste caratteristiche: la relazione e la libertà.

Il primo bisogno del soggetto per essere tale è l’esistenza di un altro da sé. Molte sono leforme sotto le quali questo altro si fa presenza agli occhi dell’uomo: può essere, di volta in volta, il mondo esterno, ovvero il mondo delle cose e dei valori sociali, o il mondo interno, ovvero il mondo dei pensieri e degli affetti; può essere il Tu umano, l’altro dell’incontro, o il Tu interiore, l’altro cui l’uomo si riferisce quando è con se stesso; può essere la corporeità dell’uomo o i suoi comporta­menti o i suoi modi di rapportarsi al mondo, nel momento in cui egli se ne distacca per riconoscerli e riferirli a sé; può essere infine l’uomo nella sua globalità, quando l’uomo stesso prende da se medesimo la distanza necessaria per definirsi in una identità.”

in Silvia MontefoschiL’Uno e l’Altro: interdipendenza e intersoggettività, Feltrinelli, 1977, ora in Silvia Montefoschi, L’evoluzione della coscienza, Opere, Volume Secondo – Tomo 1, Zephyro Edizioni, Milano 2008, p. 74-75.



2. Lo scritto del 2004, citato nell’audio-video è qui:

Intervista a Montefoschi sul concetto di “intersoggettività” (2004) di Tullio Tommasi



3. La canzone è :

Paolo Conte, Bella di giorno, in Psiche, 2008



Io so chi tu sei

so neanche chi sei

ma so che tu sei

si so che tu sei tanto amata

amata e desiderata

l’istinto ti sa

trattare ti sa

guidare ti sa

con poche parole precise

poche parole decise

e uno sguardo d’intesa

un’elegantissima scusa

come una bella di giorno

tu sei il mondo che hai intorno

sei bella senza ritegno

nell’acqua fresca di un bagno

io so che tu sei

so neanche chi sei

ma so che tu sei

si so che tu sei tanto amata

amata e desiderata

e sola

<!– –>

Claudio Risè ha appena pubblicato “Il padre: l’assente inaccettabile” Edizioni San PaoloI

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IL PADRE

30 Novembre 2003

I miei studi sullo scrittore americano Robert Bly sono avvenute nell’ambito delle politiche per le famiglie.

E’ lì che si intercetta il tema della riduzione dei ruoli paterni nelle società contemporanee. L’argomento era già stato elaborato dai sociologi della Scuola di Francoforte negli anni ’60 e ’70 (Marcuse, Horkheimer, Adorno) e dallo psicologo sociale Mitscherlich.

Negli ultimi anni emergono altre letture meno unilaterali: Bly, appunto, ma (in Italia) anche gli studi di Claudio Risè. Quest’ultimo ha appena pubblicato “Il padre: l’assente inaccettabile” Edizioni San Paolo.

Risè è un attento psicologo junghiano che rischia di essere unilaterale tanto quanto quei filosofi, però è persona di vaste e colte letture. Ha solo una idea molto molto bizzarra: che Berlusconi incarni la figura maschile della responsabilità. E’ un incredibile lapsus di un bravo psicanalista. Basta non soffermarsi su questi giudizi un po’ servili (tipici della perdita di senso della cultura italiana in questa congiuntura storica) e addentrarsi in altre parti della sua ricerca. Vale la pena di leggerlo.

secondo incontro con Silvia Montefoschi e inizio analisi con Claudio Risè

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secondo incontro con Silvia Montefoschi e inizio analisi con Claudio Risè

Silvia Montefoschi: alle origini del fenomeno intersoggettivo

2 commenti[Edit]

“Se cerco di cogliere sul piano esperienziale il fenomeno intersoggettivo che io assumo come parametro, strumento e finalità del mio interagire col paziente, devo dire che esso si rivela a me come la feli­ce condizione dell’esistere con l’altro senza bisogni.

Se però analizzo questa condizione mi accorgo che essa si fonda sul soddisfacimento di due bisogni che le sono essenziali; quello che l’altro ci sia, in quanto è grazie all’esserci dell’altro che io mi mani­festo come esistente e mi riconosco, e quello che io ci sia in libertà, poiché mi riconosco solo se sono libera di dirmi e di darmi così come, di volta in volta, l’esistere dell’altro mi rivela a me stessa.

In questa felice condizione, quindi, non percepisco altri bisogni se non quelli della presenza dell’altro e della mia libertà. Non sono forse questi i requisiti dell’esistere dell’uomo come soggetto?

Devo procedere nell’analisi di queste caratteristiche: la relazione e la libertà.

Il primo bisogno del soggetto per essere tale è l’esistenza di un altro da sé. Molte sono le forme sotto le quali questo altro si fa presenza agli occhi dell’uomo: può essere, di volta in volta, il mondo esterno, ovvero il mondo delle cose e dei valori sociali, o il mondo interno, ovvero il mondo dei pensieri e degli affetti; può essere il Tu umano, l’altro dell’incontro, o il Tu interiore, l’altro cui l’uomo si riferisce quando è con se stesso; può essere la corporeità dell’uomo o i suoi comporta­menti o i suoi modi di rapportarsi al mondo, nel momento in cui egli se ne distacca per riconoscerli e riferirli a sé; può essere infine l’uomo nella sua globalità, quando l’uomo stesso prende da se medesimo la distanza necessaria per definirsi in una identità.”

in Silvia Montefoschi, L’Uno e l’Altro: interdipendenza e intersoggettività, Feltrinelli, 1977, ora in Silvia Montefoschi, L’evoluzione della coscienza, Opere, Volume Secondo – Tomo 1, Zephyro Edizioni, Milano 2008, p. 74-75.

primo incontro con Silvia Montefoschi

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primo incontro con Silvia Montefoschi

da: Montefoschi Silvia « Segni di Paolo del 1948.

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