nell’estate del 1976, dopo l’ennesima sconfitta elettorale subita dal Psi di Francesco De Martino. All’Hotel Midas di Roma, dove si era riunito il Comitato centrale del partito, Craxi riuscì a scalzare il vecchio segretario e divenne il leader del Psi. Quanto stava per accadere me lo spiegò il giurista Federico Mancini, un signore bolognese di 49 anni, amico di Bettino.
Sul retro di un conto del Midas, un panino e una Coca cari come il fuoco, scrisse una filastrocca: «Noi compagni socialisti – siamo stanchi e un poco tristi. – De Martino questa estate – lo finiamo a fucilate. – Tutto quanto rinnoviamo: Benny Craxi ci mettiamo». Federico Mancini firmò la poesiola «Anonimo emiliano». Poi me la consegnò: «Tienila. Così ti ricorderai di queste giornate storiche».
Craxi vinse grazie anche ai voti della sinistra socialista. Il leader di questa corrente era il vecchio Riccardo Lombardi. Ma a guidarla c’erano dei giovani. Primo fra tutti, Claudio Signorile, che aveva accanto a sé, come membri della direzione, Gianni De Michelis e Fabrizio Cicchitto. Quest’ultimo aveva 36 anni, sei meno di Bettino che stava appena al di là della barriera dei quarant’anni.
Cominciò allora la grande illusione socialista. Craxi guidò il governo per due volte, dall’agosto 1983 al marzo 1987. Ma perse la battaglia ingaggiata per sottrarre voti al Pci, nella speranza di sospingerlo verso il territorio riformista. Si vissero anni roventi, di guerra politica senza freni. E anche di guerra interna al Psi. Fu allora che Cicchitto, scoprendosi isolato e senza difese, si iscrisse alla P2 di Licio Gelli. La considerava una loggia massonica potente, però non diversa dalle tante presenti in Italia. Ma quando uscì la lista degli iscritti, era il maggio 1981, si rese conto di aver fatto la cappellata della sua vita.
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Oggi Cicchitto si trova di fronte alla fine del suo secondo partito dopo il Psi. La parrocchia del Cavaliere è andata a gambe all’aria. Dal seggio di capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio scorge soltanto rovine. Non ha smesso di combattere e anche la «Linea rossa» è la conferma di un carattere che, negli anni, è diventato tenace e cocciuto. Ma credo che anche lui abbia preso atto di un verità brutale: per il centrodestra le speranze di vincere sono davvero poche. Lo confermano anche i tratti di Cicchitto che i telegiornali ci restituiscono quasi ogni sera. Fabrizio non sorride mai. È il contrario del politico che ha scelto di fare il piacione. Quando lo vedo, penso che qualcosa stia bruciando dentro di lui. E ci conferma che la politica è anche sofferenza, inchiodata a una catena di ricordi che ti inseguono. Pur tentato da un’infinità di soluzioni che mutano di continuo, Berlusconi ha il colorito terreo del leader ormai finito. Di qui alla primavera del 2013, ammesso che le elezioni non si tengano prima, quanto resta del Pdl andrà incontro a una sciagura dopo l’altra. Cicchitto sarà il testimone di un’epoca politica conclusa.
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