Nel suo editoriale del 2 gennaio sul Corriere («Meno illusioni per dare speranza» ) Mario Monti, per spiegare la mentalità rivendicativa di ampi settori della sinistra italiana, ha richiamato il forte influsso esercitato su di essi dalla dottrina di Marx: nel senso che, una volta fallito il sogno del superamento del capitalismo e della instaurazione di una società più equa ha prevalso in Italia, in una parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente, una rivendicazione essenzialmente ideale, basata su istanze etiche, «rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività» .
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Io ritengo che su alcuni gruppi politici e sindacali continui a pesare un passato che, in realtà, non è affatto passato. Nell’età della Prima repubblica, la sinistra italiana guidata dal Partito comunista non è mai riuscita a elaborare una cultura all’altezza di una moderna società industriale
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i comunisti italiani hanno sempre visto nel capitalismo un freno allo sviluppo economico.
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Dunque, all’inizio di quel formidabile processo di sviluppo che è passato alla storia con la denominazione di «miracolo economico» , nel quale avrebbero avuto un ruolo decisivo proprio i piccoli e medi imprenditori, e che in meno di un decennio avrebbe fatto dell’Italia una delle massime potenze industriali del mondo, i comunisti italiani indugiavano ancora in una visione del capitalismo come freno alle forze produttive
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Difficile immaginare una posizione più anacronistica. E così non può stupire l’atteggiamento negativo dei comunisti italiani (che nel 1957 votarono contro i trattati di Roma) verso il Mercato comune europeo, del quale essi non vedevano le immense opportunità economiche e tecnologiche, e insistevano piuttosto su un’ «irrimediabile» frattura dell’Europa e sui pericoli, che a loro avviso ne sarebbero derivati, alla nostra indipendenza nazionale.
…. questa incapacità dei comunisti italiani di elaborare una cultura all’altezza di una società industriale avanzata abbia pesato molto negativamente sulle loro posizioni, precludendogli una teoria e una pratica di riformismo realistico e incisivo … capace di affondare le sue radici nello sviluppo e non nel rifiuto dello sviluppo; capace di individuare tutte le opportunità e tutte le risorse del cambiamento, per trarne vantaggio grazie a una efficace politica sindacale (la quale può essere efficace solo se tiene ben presenti i limiti della sostenibilità, ovvero i vincoli della competitività). Questa eredità negativa pesa ancora molto, a mio avviso, su ampi settori della sinistra (non su tutti, per fortuna), i quali non riescono ad affrontare il cambiamento, l’innovazione, la trasformazione, e si arroccano in una posizione di pura e semplice negazione. Di qui un grave danno per la sinistra nel suo complesso, poiché solo se essa riesce a elaborare una cultura all’altezza dei processi sempre più impetuosi che caratterizzano il mondo globalizzato, può avanzare una sua proposta di governo (concreta, realistica, credibile), e assicurare al Paese quell’alternanza che è il sale di qualunque democrazia liberale.
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