La sicurezza energetica italiana non è a rischio, almeno nel breve termine. Per quel che riguarda il petrolio, i disordini – in Libia ma anche in Algeria, Egitto e Bahrein – hanno un importante impatto sui prezzi, ma finora non sull’effettiva accessibilità delle risorse.
Come ha ricordato la stessa Agenzia Internazionale per l’Energia, le scorte e le produzioni “non a rischio” sono, sempre per ora, compatibili con la domanda. Segno che il mercato, quando funziona, funziona: insomma, le instabilità possono spostare il punto di equilibrio, ma non pregiudicano gli affari.
Pesa, invece, il 13,2 per cento di importazioni di gas dalla Libia, soggette a grande incertezza sugli sviluppi futuri. Fortunatamente, tutto ciò accade a inverno finito, in un anno di domanda ancora bassa e mercato strutturalmente lungo. Molto, insomma, dipenderà dalla rapidità con cui i Paesi in rivolta si assesteranno, e come. Se dunque l’Italia può stare relativamente tranquilla, lo stesso non può dirsi delle imprese attive in quelle nazioni. L’Eni, per esempio, ha una forte esposizione in Libia, resa possibile dagli attuali buoni rapporti col regime in fiamme.
Da questa vicenda, e da un simile disallineamento di rischi, intanto si può già trarre un’utile lezione: la sicurezza di un Paese sta nella
diversificazione, e non va mai confusa con gli interessi di una sola
compagnia.