Il romanzo mostra l’animo mobile del fascismo con plasticità, in un travaso continuo tra suscitato e suscitatore: M è colto più di una volta nell’atto di interrogarsi su chi sia la gente che ha di fronte, quasi non si capaciti di essere stato davvero lui a far sorgere “queste folle di pantofolai che all’improvviso impugnano il bastone”, quasi il fascismo non sia “l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato”. Protagonisti di M sono il fondatore del fascismo almeno quanto i suoi comprimari, a cominciare dalle ali poetiche del movimento (Marinetti e D’Annunzio), gli smobilitati della Grande guerra e una nuvola di individui venuti come il figlio del fabbro di Dovia dal basso (cenni biografici dei personaggi principali in fondo al volume). Ma ne è protagonista l’intera comunità nazionale, “il paese opaco” come l’autore intitola un capitolo dell’estate 1924, nel pieno della crisi che segue l’omicidio Matteotti. Sguarnito il campo degli oppositori, nel quale spiccano le indecisioni rivoluzionarie di Bombacci, la statura di oratore fuori del tempo di Turati e il coraggio smisurato e ottuso di Matteotti, l’unico capace di portare con il suo sacrificio Mussolini e le sorti del fascismo all’impasse.
estratto da:
Antonio Scurati – M. Il figlio del secolo | recensione