Raid notturno a Baghdad. Tra i morti, otto o nove, anche Abu Mahdi Al-Muhandis e Qasem Soleimani
Venti di guerra anche in Iraq. A meno di un giorno dalla fine dell’assedio all’ambasciata statunitense di Baghdad, un raid Usa ha colpito un convoglio delle Pmu, le Forze di mobilitazione popolare che stavano accompagnando all’aeroporto una delegazione dei Guardiani della Rivoluzione di Teheran. L’ordine di colpire è stato impartito direttamente dal presidente Donald Trump. Tra le vittime, otto o nove, anche Abu Mahdi Al-Muhandis, l’uomo che il 30 dicembre ha spronato la folla ad assaltare l’ambasciata americana, e Qasem Soleimani, il generale iraniano responsabile di tutte le operazioni coperte all’estero [Rep].
«Soleimani era al comando delle brigate Qods, un’unità leggendaria che ha avuto un ruolo decisivo nei conflitti della regione. Ha animato la seconda fase dell’insurrezione anti-americana in Iraq, ha armato hezbollah contro Israele, ha pilotato la repressione del regime di Damasco contro la rivolta. Poi ha indirettamente collaborato con i suoi storici nemici americani per riuscire a sconfiggere lo Stato islamico. Più volte chiamato in causa come mente di attentati contro bersagli israeliani e statunitensi, era sempre sfuggito ai tentativi di eliminarlo o catturarlo: l’ultimo poche settimane fa […] Giovedì per tutto il giorno è stato segnalato un intenso traffico di velivoli militari americani diretti verso la regione, con decine di grandi cargo C-17 che hanno attraversato il Mediterraneo, atterrando nelle basi in Turchia e Arabia Saudita. Un ponte aereo senza precedenti in tempo di pace, tale da far pensare alla premessa per un conflitto. E il raid contro l’aeroporto di Bagdad rischia di scatenarlo realmente, perché è facile prevedere una risposta durissima di Teheran. La morte di Soleimani è una perdita troppo grave, che mina la credibilità degli ayatollah in un momento di pesanti proteste interne. Inevitabile che la reazione sia altrettanto forte: “Il martire sarà vendicato con tutta la forza”, ha promesso il fondatore dei Guardiani della Rivoluzione Mohsen Rezai».
Il presidente americano Trump dapprima pubblicò sul suo account ufficiale di Twitter la sola bandiera degli Stati Uniti, per poi in seguito affermare come l’attacco fosse necessario poiché Soleimani aveva «ucciso o ferito migliaia di americani in un lungo periodo di tempo e stava pianificando di ucciderne molti altri» (senza fornire prove di quest’ultima affermazione). La speaker della Camera Nancy Pelosi giudicò invece il raid come «un atto provocatorio e sproporzionato che rischia di provocare una pericolosa ulteriore escalation di violenza», rimarcando come il Congresso americano non fosse stato consultato prima di fare partire l’attacco.
A Teheran migliaia di persone scesero in piazza per protestare contro il raid americano che uccise Soleimani, intonando cori contro gli Stati Uniti. Il presidente iraniano Hassan Rouhani minacciò vendetta in una dichiarazione pubblicata sul sito ufficiale del governo. Il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif affermò che «l’atto di terrorismo internazionale degli Stati Uniti con l’assassinio del generale Soleimani, la forza più efficace nel combattere il Daesh, Al Nusrah e Al Qaida, è estremamente pericolosa e una folle escalation» e che «gli Stati Uniti si assumeranno la responsabilità di questo avventurismo disonesto».