Siegmund Ginzberg,
Da qualche tempo mi turba un’altra elezione. Sempre di marzo. Era la terza volta che votavano per le politiche in otto mesi. Ogni volta nessuno otteneva la maggioranza. Pubblicamente tutti rifiutavano i compromessi. A cominciare dal partito che aveva preso più voti (poco più del 30 per cento): pretendeva il governo tutto da solo. L’anziano presidente della Repubblica gli rispondeva picche. Ma tutti manovravano e trattavano dietro le quinte. Spesso all’insaputa e ai danni dei rivali nel proprio stesso schieramento. Finché un esponente della vecchia politica riuscì a convincere il presidente riluttante a provare col peggiore di tutti. Questa storia non ha a che fare con l’Italia, né con l’attualità. Eppure da qualche tempo mi toglie il sonno. Nella Germania di Weimar si votava. E se non c’erano maggioranze possibili si tornava a votare. Col proporzionale puro. Sulla scheda delle elezioni del 31 luglio 1932 figuravano oltre sessanta simboli. Primo risultò il Partito Nazionale Socialista dei Lavoratori, col 37,27 per cento. Secondo il partito Socialdemocratico col 21,58. Terzo il Partito Comunista col 14,32. Al quarto posto il Centro, col 12,44. Il leader del partito che arrivò primo per tre volte di seguito i chiamava Adolf Hitler. I suoi comizi erano vere performance teatrali. Dopo ogni elezione rivendicava la nomina a cancelliere. Ma non aveva i numeri.
segue …
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